di Pino Tosca
Il cardinale Poupard, nella relazione presentata al termine dei lavori della Commissione istituita da Giovanni Paolo II sul “caso Galilei”, ha parlato di “errore di giudizio” del Santo Uffizio, che avrebbe comminato una “misura disciplinare di cui Galileo ebbe molto a soffrire”. In realtà Galilei, almeno fisicamente, non ebbe proprio nulla a soffrire da quella condanna e l’”errore”, comunque, non fu da una parte sola. Tant’è che lo stesso Pontefice ha parlato, al riguardo, di “una tragica reciproca incomprensione”.
Sia innanzitutto chiaro che, nel XVII sec., le teorie copernicane studiate e diffuse dal Galilei non avevano mai incontrato l’avversità della Chiesa, sul terreno scientifico. Esse furono difese dal Cardinale di Cusa, prima ancora che Copernico le “sistemasse” definitivamente. L’Inquisizione condannò il Galilei, ben settantadue anni dopo che il sistema copernicano “viveva” e prosperava nei centri di studio dei territori romani. Di conseguenza, l’Inquisizione non condannò affatto il Galilei per la sua divulgazione del sistema copernicano, e ciò è provato da molti fatti. A parte il Cardinale di Cusa, gli stessi Papi mai osteggiarono i sistemi astronomici di Copernico, anzi li consideravano un frutto dell’ingegno umano e del progredire scientifico. Nel 1533 (quindi, ben 83 anni prima delle avvisaglie inquisitoriali contro il Galilei), il tedesco I. A. Windmanstad aveva sostenuto le tesi copernicane in Roma, dinanzi allo stesso papa ed a diversi Cardinali. E Clemente VII, in considerazione di ciò e come incentivo a continuare in quelle ricerche, aveva donato a Windmanstad un antico manoscritto greco. Esattamente dieci anni dopo, nel 1543, Nicolò Copernico- che, non dimentichiamolo, era un canonico polacco- aveva fatto stampare il suo nuovo sistema contro quello tolemaico, ed aveva dedicato il suo libro nientemeno che al Pontefice di quel tempo, cioè a Paolo III, il quale accettò volentieri la dedica e gliene fu sempre grato. Nello stesso anno, le teorie sulla rotazione terrestre venivano insegnate liberamente in Italia da Celio Calcagnini. Né bisogna dimenticare che verso la metà del sec. XV, il Cardinale di Cusa, prima di diventare così alto porporato, aveva insegnato proprio quei nuovi sistemi astronomici nella stessa Roma, senza che ciò, in seguito, gli impedisse di diventare Cardinale.
Ma vi è ancor di più. Lo stesso Galileo Galilei era stato invitato ad insegnare le sue teorie in Roma città, dal Cardinale Baronio, suo grande amico. Alla fine del sec. XVI, poi, l’astronomo tedesco Wursters poteva impartire, senza ostacolo alcuno, in Italia pubbliche lezioni in favore del sistema del canonico Copernico. Da quanto sopra esposto, si capisce che la Chiesa cattolica non aveva proprio alcun partito preso contro i sistemi astronomici difesi dal Galilei. Il terreno di scontro fra l’astronomo pisano e la Curia romana non era tanto quella della scienza, quanto quello della disputa teologica.
In realtà, tutto il contributo di Galilei (che non era nemmeno laureato ma che insegnava in diverse università) all’astronomia teoretica riguarda l’osservazione dei satelliti di Giove e delle macchie solari. Egli non inventò affatto il telescopio, ma si limitò a puntarlo verso il cielo. Egli non scoprì affatto il sistema eliocentrico (che era una creazione di Copernico, il quale l’aveva appreso da Arstarco di Samo del VI secolo a.C.). Egli non dimostrò nemmeno la rotazione della terra (che sarebbe stata scientificamente provata due secoli dopo con il “pendolo di Foucault”. Egli non teorizzò nemmeno la rotondità della terra, cosa che già risaliva alle scoperte di Colombo. Prima che Galilei iniziasse le sue scoperte, già nel 1334 Giovanni De’ Dondi aveva creato il primo orologio astronomico che mostrava le fasi della luna e dello zodiaco. Inoltre, com’è acclarato, Galilei non effettuò mai l’esperimento sulla caduta dei gravi dall’alto della Torre di Pisa, né quello sul piano inclinato, né quelli relativi alla legge del pendolo.
La grandezza di Galilei è invece legata alla fisica e ai principi della termodinamica e a quelle innovazioni pratiche che ne fecero lo scienziato più coccolato dei suoi tempi. Fu comunque un suo discepolo, Evangelista Torricelli, ad inventare il barometro ed a gettare le basi per il microscopio.
L’attacco antigalileiano partì dai Peripatetici toscani e laziali, i quali, per difendere la lettera di alcuni passi biblici, si scagliarono insensatamente contro Copernico e, quindi, contro Galilei. Quest’ultimo, a sua volta, nel tentativo di dimostrare come la frase di Giosuè non fosse in contraddizione con Copernico, adoperò tattiche del tutto inadeguate, volendo sostenere che quella frase era stata quasi una menzogna dell’eroe biblico onde poter essere maggiormente compreso dal popolo ebraico. Fu allora che il domenicano padre Lorini, nel 1612, iniziò l’attacco a Galilei. Costui, che era un cattolico praticante, si sentì quindi in dovere di interpellare il cardinal Conti sulla disputa teologica. Dopodiché il pisano fece uscire le sue Lettere sulle macchie solari, ribadendo e sue interpretazioni scritturali. Ed egli trovò appoggiò in ciò anche presso un altro religioso, il padre Benedetto Castelli, benedettino di Monte Cassino e professore di Matematica all’Università di Pisa.
Quando poi il domenicano Calvini attaccò pubblicamente il Galilei nella chiesa di S. Maria Novella, egli fu deplorato vivacemente dallo stesso Maestro Generale dell’Ordine, padre Luigi Maraffi, che era amico dello scienziato. Inoltre, per ordine diretto del cardinal Giustiniano, lo stesso Calvini fu costretto ad una pubblica ritrattazione in Bologna. Nello stesso anno, 1606, in cui il Generale domenicano difendeva il Galilei, a Napoli un carmelitano, padre Foscarini pubblicava un’apologia dello scienziato e del sistema copernicano, aiutato in ciò dagli scritti di due altri religiosi, il gesuita Torquato de Cuppis e padre Fabbri.
Ma in quello stesso anno, il cardinal Bellarmino fece muovere il Sant’Uffizio contro l’esegesi biblica galileiana. E quando lo scienziato toscano giunse a Roma, nel dicembre dello stesso anno, per difendere il suo sistema, raccomandato caldamente dal Granduca Cosimo Il, fu trattato con tutti gli onori, come si rileva dalla lettera da lui scritta al Ranieri ed a sua figlia che, educata religiosamente, si era fatta monaca. Egli, comunque, promise al Tribunale inquisitoriale che nella nuova edizione della sua opera avrebbe tolto tutti i suoi commenti alla Scrittura, componendo così la “vertenza”. Ma non mantenne la promessa, poiché ripubblicò i testi nel 1616, a Bologna, non eliminando affatto il suo libero esame dei passi scritturali. Fu allora che l’Inquisizione gli proibì ogni insegnamento poiché “mancator di parola”.
La questione aperta era puramente teologica. Ciò lo si deduce dalle lettere inviate al Galilei da due suoi amici alti prelati: il cardinal Maffei Barberini e il cardinal Baronio. Anzi, proprio quest’ultimo, nel 1587, gli aveva scritto così: “Caro Galilei, tu puoi investigare come va il cielo, ma non insegnarci come si va al cielo. La interpretazione della Bibbia appartiene alla Chiesa”. Ed il cardinal Maffei Barberini, che diverrà poi Papa col nome di Urbano VIII, consigliava amichevolmente l’astronomo di abolire le sue interpretazioni scritturali, eliminando in tal modo ogni vespaio teologico. Ecco perché, nel secolo scorso, un beato come Bartolo Longo scriveva:” L’Inquisizione, condannando il Galilei, non si mostra nemica della Scienza e del progresso, poi che lo condannava per ragione della religione e non per la scienza”.
Del resto, la stessa condanna al Galilei non fu approvata all’unanimità, dal momento che tre cardinali si astennero. E v’è da aggiungere che in quella sentenza manca formalmente la firma del Papa (Paolo VI), quale Presidente del Sacro Tribunale, la quale firma è necessaria per la sanzione definitiva del decreto ecclesiastico.
Ed adesso passiamo alla parte più grottesca di questa vicenda: le presunte sofferenze fisiche inflitte al Galilei. Si pensi che un’indagine europea condotta su un cospicuo numero di studenti universitari ha accertato che tutti quei futuri professori erano sicuri che Galilei fosse stato bruciato vivo dall’Inquisizione, dopo aver pronunciato la frase “eppur si muove!”. Invece, è storicamente provato, per mezzo delle stesse lettere inviate dal Galilei al Renieri ed a sua figlia, come egli, sottoposto a processo dal Sant’Uffizio se ne andò sempre a piede libero per Roma e rispettato da tutti. E quando venne trattenuto presso gli inquisitori per gli esami di rito, non fu affatto rinchiuso in tetre prigioni abitate da sorci, ma, come ha dimostrato l’Albèri, coi documenti dell’Ambasciata Toscana, egli ebbe per abitazione l’appartamento dello stesso Avvocato Fiscale. E quando poi egli fu condannato dal Tribunale ecclesiastico, la sua pena consistette nella recita settimanale dei salmi penitenziali, per tre anni., ma, subito dopo, anche questa “pena” fu interamente condonata. La “condanna”, arrivata dopo ben vent’anni di diatribe e tergiversazioni, fu da lui stesso riconosciuta giusta, perché riguardava solo l’aspetto teologico delle sue opere e non quello scientifico. La sua “prigione” fu invece la magnifica villa del suo stimatissimo amico Piccolomini, che era Arcivescovo di Siena’ ove dimorò con grande sfarzo per sei mesi, prima di tornarsene tranquillamente a Firenze. In quello stesso anno papa Urbano VIII aveva celebrato in versi le scoperte di Galilei.
Quanto sopra basta per smentire uno dei tanti ridicoli miti della storiografia illuminista e protestante, quello cioè di un preteso conflitto tra scienza e fede nel sec. XVII. Basti pensare che proprio in quegli anni il numero dei preti-scienziati arrivò a vertici mai raggiunti. Nell’Italia della Controriforma i sacerdoti che si occupavano di scienza erano più numerosi non solo degli scienziati laici, ma anche dei preti teologi. Le persecuzioni contro gli scienziati, quando ci furono, avvennero invece in campo protestante. Nello stesso anno in cui fu condannato il Galilei, la Corte romana si adoperò energicamente perché il famoso Keplero, protestante, perseguitato in patria proprio perché seguace del sistema copernicano (che Lutero considerava un’idea demoniaca), insegnasse all’Università di Bologna Nikolaus Stensen, danese e luterano, ebbe lo stesso trattamento e si rifugiò anche lui presso la Roma cattolica, dove fu chiamato Stenone e diede il suo nome al famoso dotto toracico che tutti abbiamo in corpo. Stenone si convertì al cattolicesimo, si fece prete e divenne vescovo. La Chiesa lo ha poi canonizzato e adesso è venerato come santo. Del resto, nel secolo scorso, fu un altro sacerdote, padre Secchi, gesuita e direttore della Specola vaticana, il primo a fotografare un’eclissi di sole.
“Il Galilei -scrive Longo- non si disdisse mai innanzi alla tortura perché tortura non ve ne fu mai: né batté mai il piede in terra con le fantomatiche parole: “E pur si muove!” perché egli stesso confessa la mitezza dei suoi giudici, e la libertà goduta nella sua prigionia”. Oltre a ciò, si considerino gli studi scientifici successivi al Galilei, quelli dovuti al domenicano padre Alberto Radente (1880), a W. Herschel, ad Argelando, al gesuita padre Secchi, i quali hanno modificato le tesi galileiane sulla interpretazione scritturale.