
di Pierfranco Bruni
Scrittore
“Viator solitario sulle onde dello spirito, acheo innamorato alla perenne ricerca di Itaca i cui confini si identificavano col Santo Graal. Più Parsifal che Ulisse, Gianni Bruni ha disegnato ‘nell’Oceano delle stelle’ quella ‘rotta della speranza’ verso un paradiso che possiede il ‘colore del silenzio’. Come Ezra Pound, altro grande innamorato delle verdi acque veneziane, altro grande poeta di un silenzio ritrovato dopo le indicibili sofferenze di Coltano e del manicomio criminale americano”.
Eravamo nel 1997. Non voglio segnare un ricordo o un amicizia. Voglio andare oltre. Storicizzando alcuni paragrafi culturali. Oggi. Pino Tosca, dunque, si trovò a presentare, insieme ad alcuni critici d’arte, una mostra sull’artista Gianni Bruni organizzata a Taranto. Immediatamente Tosca trovò all’interno del percorso pittorico e artistico di Gianni Bruni un inconfondibile tracciato. Un tracciato spirituale e simbolico in un contesto culturale particolare.
Non era nuovo, Tosca, a queste entrature ma questi tasselli chiariscono un intreccio basato su alcuni principi di fondo. Leggendo il “corpus” degli scritti di Tosca l’interrogativo, comunque, rimane. Non si tratta di uno scritto insolito. O forse sì? Conoscendolo, Pino Tosca è stato un personaggio eclettico che ha saputo confrontarsi con una diversità di aspetti, la cui matrice, però, presentava un forte monolito. Ovvero la tradizione come valore in sé ma anche come identità nell’appartenenza. Riferimenti certi che si leggono in tutta la sua ricerca.
Le pagine dedicate alla cultura popolare, per esempio, restano una testimonianza emblematica del suo mondo identitario e dei suoi modelli di approccio non solo alla storia o al paesaggio delle idee ma anche alle incursione nella letteratura. Una letteratura vissuta e offerta come recupero di tradizione e da questo punto di vista, nel suo pensiero e nei suoi scritti, non mancava mai l’introspezione antropologica. Il recupero della cultura contadina (cultura identitaria) lo poneva come un interprete singolare del rapporto tra bisogno di affermazione delle eredità e ricerca storica.
Cultura popolare e letteratura costituivano, in Tosca, un legame forte sui temi dell’appartenenza, dell’identità, della memoria e vivevano all’interno di un contesto che crea processi di conoscenza ben consolidati sul territorio. Era ben consapevole che il Sud si presenta con una eterogeneità di immagini che sono il portato storico del vissuto di una civiltà.
La cultura popolare, il più delle volte, diventava, in Tosca, l’espressione di una profonda religiosità che ha le sue radici nel mondo delle realtà agresti. Ci sono scrittori, d’altronde, che hanno raccontato la religiosità del quotidiano all’interno della cultura popolare. Tosca scavava dentro gli intagli di questo mondo. C’è un suo scritto, poi raccolto negli Atti di un Convegno, risalente al 1996, che porta il titolo: “Dalle appartenenze alle nuove identità: quale letteratura?”. Un altro Convegno tarantino che ha lasciato il segno.
Ebbene, in questo scritto, proprio riferendosi al tema dell’appartenenza e della cultura popolare, ha sostenuto: “Non c’è appartenenza se non ad una identità. Si appartiene a qualcosa che è chiaramente individuale in peculiarità particolare, in specificità che segnano la diversità da altro. (…) Le ‘nuove identità’ di oggi sono infatti le ‘vecchie’ o ‘antiche’ identità di ieri. Per ciò che concerne l’Europa, le rivoluzioni di velluto verificatesi nel 1989 non hanno fatto altro che ripristinare identità censurate dalle Grandi Potenze dopo le due guerre mondiali”. Nella cultura popolare Tosca ha sempre rintracciato un profilo religioso. Si pensi, a tal proposito, alle pagine dedicate alla ricostruzione dell’antico carnevale modugnese (“…quel tempo e quelle feste che avevano resistito au musulmani, ai bizantini, ai normanni, agli angioini, agli svevi, ai piemontesi dovevano essere spazzati via da un demiurgo inarrestabile e totalizzante: la fabbrica e la civilizzazione industriale”). Sempre il valore della Tradizione.
La religiosità popolare trovava, infatti, nella letteratura, letta e citata da Tosca, uno di quegli strumenti di trasmissione di tradizioni che diventa fondamentale soprattutto nei processi culturali ed identitari delle comunità. Questo concetto Tosca lo ha trasportato anche in letteratura quando si è occupato di letteratura. Ancora nello scritto del 1996 si legge: “La nostra identità nazionale è rimasta a lungo conflittuale con se stessa. La stessa poesia dialettale ha subito questa lacerazione proveniente dagli eventi risorgimentali, per cui a Napoli chi stava con Di Giacomo non poteva stare con Ferdinando Russo e viceversa”.
Nel recupero di questo senso vivono i valori di un tempo primordiale che si legge nella capacità di una traducibilità di storia in memoria, del concetto di popolo in un concetto molto più ampio che è quello di civiltà. In letteratura è la contemplazione che pone in essere il senso del miracoloso che vive nel mistero, appunto, della religiosità popolare. In queste cesellatura si ritrova, tra l’altro, il suo conosciutissimo saggio dal titolo: Il cammino della Tradizione Il Tradizionalismo italiano 1920 – 1990.
Si pone, in questi termini, un problema anche di natura letteraria perché Pino Tosca si è confrontato costantemente con gli scrittori e con la letteratura. La sua ricerca appunto non ha riguardato solo la provenienza degli scrittori (o autori di diversa scrittura) ma la tematica che portano sulla pagina e le problematiche che affrontano.
C’è una letteratura provinciale che nasce nel Sud e c’è una letteratura meridionale che cerca di proporsi con temi che hanno una visione nazionale. Il gioco culturale, secondo Tosca, è tutto “costruito” sulle identità e quindi sulle appartenenze che sono da leggersi come radicamenti, come radici, come espressione di quel senso delle origini che trova proprio nel Mezzogiorno una chiave di lettura fondamentale.
Indubbiamente anche la letteratura fa i conti, deve fare i conti, con una tradizione che non è solo letteraria ma anche storica. Non poteva che avere ragione Pino Tosca. Il Carlo Levi che ha scritto il suo romanzo sulla Lucania non poteva non confrontarsi con delle realtà che erano vive anche nel pensiero di Salvemini. Il Corrado Alvaro che ha dipinto la realtà dell’Aspromonte non ha dimenticato la visione storica, non solo letteraria, di Vincenzo Padula. Il tanto amato Carlo Alianello era dentro il sangue di Tosca.
Letteratura e storia (o meglio: arte e storia) potrebbero costituire una chiave di lettura significativa nel percorso di ricerca di Tosca. La letteratura si confronta costantemente con la storia. E quando il critico e storico della letteratura Petronio in una non lontana intervista parlando degli scrittori e poeti pugliesi ha sostenuto che nessuno di questi può essere antologizzabile in una antologia contemporanea fa una scelta non solo letteraria ma anche politica e storica ed estetica. In questo discorso, nel corso di questi anni, ha pesato una inquadratura di una questione meridionale che toccava gli aspetti letterari. Su questo con Pino Tosca ne abbiamo spesso discusso confrontandoci con le tesi sostenute da Petronio.
Molti scrittori meridionali o che del Meridione hanno fatto un loro argomento narrativo non solo conoscevano la temperie del Mezzogiorno ma si documentavano attraverso le posizioni diverse che ne avevano del Mezzogiorno personaggi come Salvemini, Di Vittorio, Di Crollalanza, Salandra, Nitti, Misasi (anch’esso scrittore), D’Orso. Insomma scrittori e storia del Mezzogiorno per raccontare una dimensione della letteratura. Oggi resta di sicura attualità questo intreccio che recupera, comunque, le identità e la scrittura, il pensiero e le immagini della narrazione stessa e che in Tosca diventano elemento di una valutazione anche sul piano antropologico.
Salvemini, Di Vittorio e Di Crollalanza. Tre protagonisti che hanno fatto del Mezzogiorno una identità progettuale la cui eredità non si può che cogliere in un processo storico che ha alla base una forte rilevanza politica. In Tosca questo tracciato è stato sempre presente.
Le sue analisi sul fenomeno del Risorgimento sono una forte testimonianza: Affermava: “Il dramma del Risorgimento è dunque quello di non essere riuscito a coniugare identità particolare e identità nazionale, anzi lasciando quest’ultima in termini indefiniti e, comunque, prevaricatori”. Ritorna, così, il suo amato Alianello. Qui, si colloca il suo studio sulle Insorgenze e sul Brigantaggio. Uno studio attento sul quale la storiografia moderna deve fare, certamente, i conti.
Pino Tosca si è confrontato con i problemi culturali della sua e nostra contemporaneità non smettendo mai le vesti del “maestro” antico e non smettendo neppure le vesti del cavaliere donchisciottesco, al quale ha dedicato una poesia che risale al 1972. Il sognatore, il poeta, l’ironico mentitore o il fingitore che sa. L’onore e la patria mai dismessi.
Non un uomo d’altri tempi. Uno studioso attento che è rimasto ritto sul suo cavallo sino alla fine, non smentendosi, coerentemente. “Ora che questo mondo disprezza il tuo valore,/ora che libri e scuole deridono il tuo onore,/o prode cavaliere che mi insegnasti ad amare,/se la tua vita è un sogno, ch’io possa ancora sognare” (da “Al folle cavaliere”). Il sogno, dunque. La speranza e l’amore. Con questi “strumenti” alla ricerca di un uomo con la sua identità e la sua religiosa consapevolezza della Terra Promessa.