POST OD EX, MA TUTTI AMERICANI

di Pino Tosca

La lunga marcia del PCI alla conquista del potere si è conclusa con la formuletta del post-PCI, quale dovrebbe essere il raggruppamento dei DS (ex PDS, ex PCI). Ma, per l’appunto, si tratta di post o di ex? La domanda non è banale, nel tempo dove i “post” sono gli unici a parlare ai “posteri” … Giacché tra neo, ex e post qualche differenza c’è.

I “neo” sono quelli che non si sono dati per vinti di fronte al dogma della Storia assoluta e continuano a costruire un pezzo della loro “storia”, cercando di unire ostinatamente teoria e prassi (i Bertinotti). I “post” sono quelli che, invece, hanno preso atto della impossibilità pratica della realizzazione delle antiche teorie e cercano un “inserimento” a tutti i costi nel potere, pur essendo consapevoli di non poterlo cambiare dall’interno (il ruolo di Cossutta, infatti, non sarà mai quello di Kerensky). Gli “ex” sono quelli che si son gettati alle spalle ogni illusione e delusione, ogni ideale o, se preferite, ogni utopia e, da capi-popolo si son trasformati in giocolieri. L’unica cosa che a loro interessa è il Potere. Ma, attenzione, non il potere da perseguirsi machiavellicamente perché poi, una volta afferratolo, si ritorni ad essere quelli di prima (e cioè “neo”) e si instauri la “dittatura del proletariato” o lo “Stato nazionale del lavoro”. Non il potere come mezzo, ma come fine, il potere per il potere, cioè la poltrona, lo scranno, insomma il “pane e companatico” (o, meglio, caviale e champagne). Con la assoluta consapevolezza che tutto ciò presuppone la rinuncia completa agli originari progetti rivoluzionari. A questa schiatta di mezzecalzette appartiene il 90% almeno del personale politico oggi in servizio permanente effettivo.

Massimo D’Alema è un esempio emblematico di questa “animalità” politica. Figlio d’arte, ha pensato bene di seguire le orme paterne. Il padre Giuseppe, infatti, da essere ultrafascista nei Guf e redattore della razzista “Santa Milizia”, arrivato il tempo delle mele alleate, pensò bene di cambiare casacca diventando partigiano, comunista e deputato del PCI. Ed in questa casa-madre allevò il figliolo nell’insegnamento che nella vita bisogna fare carriera e che occorre fiutare l’aria che tira per rimanere a galla. Max ha imparato la lezione precocemente. Da rigido funzionario comunista a capo del governo ex-comunista. Cosa ha comportato tutto ciò? Semplice: la rinuncia, conclamata pubblicamente, (una specie di “autocritica” di staliniana memoria, ma al contrario) alle proprie idee giovanili (“rinunci a Satana? Rinuncio”).

Ed ecco a voi Max l’Amerikano, il viaggiatore verso la City e Wall Street, il feudatario italo-olivetano di Mister Clinton, il Baffino delle regate sui mari gallipolini, l’Ingoiatore di rospi di ogni dimensione (Cermis, Ocalan, Serbia). Ogni poltrona ha il suo prezzo e con Mamma America non si scherza. I patti devono essere chiari. Vuoi stare assiso sulla rossa poltrona di Palazzo Chigi? Allora, non basta la rinuncia teologica alla teoria, ci vogliono i fatti. Obbedisci e sarai premiato con vent’anni e più di governo. In cambio ti assicuriamo l’impunità per ciò che concerne la politica interna. Puoi fare quello che vuoi, basta che non tocchi i nostri interessi.

Andando all’assalto della base Nato di Aviano, quelli dei Centri Sociali urlavano: “D’Alema ecco il tuo lavoro/ Ocalan in galera/ Belgrado rasa al suolo”. Gli si può dar torto? Ma certo. Se i piccoli squatterini avessero acceso il lumicino di quell’intelligenza da tempo latitante si sarebbero accorti da un pezzo che il destino della sinistra italiana è il capitalismo mondialista, è il sol dell’avvenire di quel “pensiero unico” , di cui Pannella e la Bonino (oggi corteggiati dal Polo) rappresentano il bracciantato. Sono anni che il giacobinismo rosso scivola nel girondinismo azionista e liberal e questi se ne accorgono solo ora.

Ma, un momento: i nostri “democratici di sinistra” sono “liberali” sì, ma nel senso peggiore della parola. I “liberali”, al contrario di ciò che oggi si pensa, sono stati storicamente i peggiori campioni del totalitarismo. Cromwell faceva sterminare in massa i suoi nemici, dopo aver fatto rotolare la testa di Re Giacomo. Calvino e Lutero facevano di peggio, adoperando i principi tedeschi. Filippo Égalité faceva decapitare, col suo voto, il cugino Luigi XVI. Molti Presidenti degli USA possedevano schiavi e con le schiave in loro possesso ci fornicavano a piacimento), mentre è notorio come fossero schiavisti e razzisti i più grandi protagonisti della storia politica inglese (nonché il liberal-garibaldino Nino Bixio). Senza parlare, naturalmente, dello sfruttamento del lavoro (di donne e minori) di cui Marx e Hugo hanno tracciato un bel quadretto. Tutto ciò, lo si è sempre potuto fare tranquillamente, bastando a ciò riempirsi la bocca col termine di “democrazia” o con il più altisonante di “libertà”.

D’Alema ha imparato la lezione della storia. Ha capito che, seguendo il cammino dell’Asinello Romano, tutto poteva essergli consentito con un atto, formale e sostanziale (la vecchia formula marxista della “unità di teoria e prassi”) di sottomissione a Washington.

Ed ecco che assistiamo ad uno spettacolo strabiliante. Una sinistra al potere che passa il tempo a bastonare gli allevatori in sciopero, a mobilitare i poliziotti contro gli scioperanti, a varare leggi per la limitazione della libertà di sciopero, a consegnare i “compagni” rivoluzionari d’altri paesi ai loro carnefici, a portare nelle aule dei tribunali ad ogni piè sospinto qualsiasi tipo di giornalista troppo-parlante o troppo-pensante, a schierare battaglioni di giudici “democratici” che hanno il compito di affettare ogni nemico della “democrazia” (cioè del nuovo Regime), a condannare Freda a sei anni di carcere per reati di opinione, a ricominciare daccapo la famigerata ed ex-democristiana “strategia della tensione” per creare “pericoli” inesistenti quali i poveri skin, a imporre una politica sociale che più antisociale non si può, a optare per una politica “europea” diretta verso le grandi centrali del Nord e non verso il Mediterraneo, come dimostra la scelta di aiutare i bombardatori di Belgrado (illuminante l’articolo di Panebianco sul Corriere del 12 aprile).

E lo fa perché può farlo, perché non ha nemici. A meno che non vogliamo pensare che il Polo sia nemico del Governo. Che il Polo –dominato com’è da Berlusconi, dopo che questi ha ottenuto un vistoso e miracoloso “ripiano” delle sue “esposizioni”, dopo che le sue Tv non solo non sono state toccate ma si sono potenziate, dopo che ha sorretto i governi ulivisti con le missioni in Albania, con il caso Ocalan, con la guerra alla Serbia (sempre pronto ad offrire i propri voti per reggere le seggiole del Provolone bolognese e del giovane Max- possa essere veramente identificato con un’opposizione al Governo. Ma davvero c’è qualcuno che ci crede?