LE CONTORSIONI DI BAGET BOZZO

di Pino Tosca

Con un fondo sul Giornale del 12 novembre, Gianni Baget Bozzo, attuale consigliori di Berlusconi, ha accusato frontalmente l’UDR e, segnatamente, Mastella di varare, attraverso i cosiddetti ribaltoni, delle pure e semplici operazioni di potere clientelare nelle regioni meridionali, tese a perpetuare la ridistribuzione dei “posti” al personale politico della Prima Repubblica.

L’analisi non è del tutto campata in aria. Tuttavia, essa è talmente semplicistica e parziale, da far torto all’acume del suo estensore. Innanzitutto, non è vero che le minacce di ribaltoni riguardino solo il Sud: il caso della Lombardia (cioè, la più importante regione del Nord, ove, naturalmente, Mastella non ha alcun potere clientelare) fa testo. In secondo luogo, Baget ignora che, se Mastella è il killer prescelto, il mandante è Cossiga, il quale, in questa operazione dimostra la pervicacia del suo disegno politico. L’ex Presidente della Repubblica, per quanto balzana e imprevedibile sia la sua mente, persegue due obbiettivi dichiarati, conseguenti a due principi politici. Il primo: rivendicare il principio del primato della politica sull’economia, e ciò comporta una guerra senza quartiere con Berlusconi, il quale rivendica il principio contrario, quello per cui la politica deve essere a rimorchio delle leggi del mercato ed a queste obbediente. Il secondo: scardinare il sistema maggioritario, dimostratosi il più lontano possibile da una “democrazia” (lasciatemi passare questa parola ridicola, alla quale non ho mai creduto) reale, poiché annulla di fatto le identità e cancella ogni diritto di autentica rappresentanza di base. Sono due obbiettivi sui quali chi è avverso alla demagogia liberal-liberista non può che concordare.

Perché allora il cattolico Baget Bozzo se la prende tanto, nel momento in cui la stessa Famiglia Cristiana, in un sottoscrivibile articolo di Giuseppe Mattai afferma che “l’idea neoliberistica non è in alcun modo condivisibile da un cristiano degno di questo nome”? Bisogna conoscere il tipo per capirci qualcosa. Ogni dieci anni Baget cambia cavallo da corsa e nella sua disinvolta ippica politica, egli, grazie ad una cultura ecclettica, cerca sempre di dare dignità culturale alle sue scelte contorte, contradditorie e in-credibili. Giovin promessa democristiana e cattolico della scuola del card. Siri, vale a dire “tradizionalista”, diventa antidemocristiano e progressista. Prete studioso di San Tommaso si fa eleggere nelle liste del partito socialista al Parlamento europeo, incorrendo nella sanzione canonica della sospensione a divinis, cercando, in ogni modo, di riciclarsi come il suggeritore segreto di Bettino Craxi. Chiusa la parentesi socialista con lo sfascio di Tangentopoli, Baget, perso il posto a Strasburgo, rientra nella Chiesa e cerca una nuova casa politica. Ondeggiando indeciso tra i cespugli laici, viene abbagliato dal sole di Arcore (quando, naturalmente, il Dio Silvio occupa il potere). In queste sue scelte Baget si dimostra, antropologicamente, un democristiano doc Non va mai con un partitino, cerca il partitone (DC, PSI, Forza Italia) e tanto meglio se questi è al potere. Segretamente è un gramsciano, che si propone come Intellettuale Organico del partito che conta. O, tutt’al più, come il Segretario del Principe machiavelliano.

Senonché, in tutte queste acculturate giravolte, Baget Bozzo si autosmentisce perpetuamente. Come fa, lui, a venirci a parlare contro il neo-giacobinismo progressista, quando solo dieci anni fa egli affermava che “il primo criterio di scelta politica dei cattolici è la conformità ad una scelta politica ai valori di libertà e democrazia che sono divenuti per loro il primo criterio di giudizio”, stravolgendo così tutta la teologia politica tradizionale. Ricorda, il prete ligure, quel che scriveva Baget Bozzo nel ’74, in uno dei suoi libri più importanti, quando, al contrario di ciò che scriverà dieci anni dopo, individuava nella cultura radicale e liberista il principio del male della società odierna e la morte della cristianità? Per Baget, in quel tempo, “l’uomo radicale non può accettare il principio della trascendenza in nessuna forma” ed è egli il prototipo di questa società “che ha come forma politica la democrazia borghese e come forma sociale il capitalismo” e denunciava, allora, come liberismo, radicalismo borghese e capitalismo non erano altro che derivati dal confessionalismo protestante. Si guardi attorno, oggi, il politologo Baget e vediamo se gli riesce di negare che il partito in cui tutte queste cose confluiscono, altri non è se non il suo, cioè Forza Italia. Nell’antideologismo berlusconiano, dietro un anticomunismo da guitti, si amalgamano, infatti, i peggiori ingredienti culturali della modernità, anche nelle loro rappresentanze umane. Abortisti, propagandisti della droga libera, ultralaicisti, liberalcapitalisti e radicali della peggior risma, come Taradash, la Maiolo, la Lagostena, Ferrara, il nefasto Colletti e tanti altri dove stanno? Chi li ha fatti eleggere in Parlamento, se non Berlusconi? E chi mandò l’orrida Bonino al commissariato europeo, se non la benevolenza di Silvio? E chi firmò e ideò l’appello congiunto Forza Italia-Partito Radicale se non Colletti, Lagostena, Maiolo, Pera, Vertone, ecc….? Si scandalizza della spregiudicatezza dell’UDR, Baget, ma non scrive nulla quando i liberal-forzisti chiedono udienza a D’Alema per vedere come rinforzargli il potere, in cambio di qualche favore referendario.

Il Polo, in realtà, è un contenitore vuoto. Ognuno rema per proprio conto, nell’impossibilità di far convivere persone e culture distanti anni-luce le une dalle altre. Non c’è episodio della vita politica in cui non esplodono contraddizioni eclatanti. L’ultimo fatto di cronaca -la protesta dei tassisti romani contro la liberalizzazione voluta da Rutelli- ha messo in piazza ulteriormente le distanze interpoliste. Mentre Berlusconi si dichiarava favorevole alla liberalizzazione, Fini subiva il forte pressing della destra sociale, che lo spingeva a capeggiare la rivolta dei tassinari, surclassando “a sinistra” Rifondazione e beccandosi la nobile accusa di peronismo.

Le ultime vicende interne di Alleanza Nazionale sono l’ulteriore conferma di una guerra civile intrapolista più forte del contrasto tra centro-destra e centro-sinistra. Mentre la famigerata “area vasta”, cioè i berluscones di AN, si costituiscono in “corrente”, Publio Fiori, a nome dell’area cattolica, dichiara di stare già con un piede fuori da un partito che spesso e volentieri occulta la dottrina sociale della Chiesa per non dispiacere il Cavaliere. Paradossalmente sono più vicini Cossutta e Cossiga di quanto non lo siano Alemanno e Tatarella. E, paradossalmente, c’è più consonanza tra Fiori e Cossiga di quanta possa essercene tra Fiori e Baget Bozzo.

E questo perché la demarcazione politica, oggi, non è tra quanti stanno col centro-destra o col centro-sinistra (collocazioni topografiche senza riscontri culturali), ma tra chi conserva ancora le radici culturali del suo agire politico e gli sradicati neo-radicali. Come i tanti berlusconiani disseminati per ogni dove.