Con Evola ho avuto un solo incontro, nel ’68, nella sua abitazione di Corso Vittorio Emanuele. E devo dire che ne conservo un ricordo piacevole. Me lo avevano descritto come un orco scorbutico e, invece, trovai in lui una disponibilità che ci portò a parlare per qualche ora di tutto, tranne che di esoterismo.
Sei anni dopo, la mia avventura spirituale, iniziata tanto tempo prima con la lettura di Rivolta, si concludeva con quello che Don Giussani chiama l’Incontro. Ragion per cui oggi mi chiedo se c’è qualcuno, tra i tradizionalisti cattolici, che non sia stato evoliano. Probabilmente sì, ma certamente fa parte di una estrema minoranza.
Il fatto singolare è che Evola (vale a dire colui che nell’ambito del fascismo storico e del neofascismo era stato il vessilifero della tradizione non-cristiana e pre-cristiana), indipendentemente dai suoi intendimenti, porta al cristianesimo (anzi, al cattolicesimo) la maggior parte delle leve degli intellettuali di destra. Fausto Gianfranceschi ha confessato che “pur non essendo Evola cattolico, paradossalmente i suoi testi riuscivano, almeno in me, a rafforzare la convinzione che la filosofia perenne del cattolicesimo fosse l’unica forma di pensiero vivente in grado di dettare regole di giudizio a che non si lascia affascinare dalle ideologie materialistiche e dalle utopie illuministiche“.
Dal canto suo, un acuto cattolico di sinistra, come Giovanni Tassani, ha osservato, a proposito della rivista cattolica Traditio diretta da Piero Vassallo (un altro cattolico ex-evoliano), che, a testimonianza del cammino percorso dai suoi ambienti sta “la sigla chiaramente a-cristiana (“Thule”) delle edizioni che pubblicano la rivista, ciò omogeneamente all’itinerario dell’editore, Tommaso Romano, dall’evolismo al cattolicesimo. Ciò consente di accennare ad un fatto pressoché unico nel panorama politico-culturale italiano: la “conversione” al cattolicesimo di elementi precedentemente acattolici quando non addirittura ostili ad esso. Questo avviene o è avvenuto da tempo, in settori di questa destra estrema assetata di Assoluto“.
Da Evola a Cristo, quindi. E non si può non dar ragione a Tassani quando si constata che da Piero Vassallo a Giano Accame, a Tommaso Romano, a Silvio Vitale a Stefano Mangiante, al sottoscritto e a chissà quanti altri quello è stato il viaggio comune, esistenziale e spirituale. Perché e come mai l’autore di “Imperialismo pagano” (un testo crudamente anticristiano, poi rinnegato in parte dallo stesso pensatore) abbia avuto questo ruolo di “pontefice” (facitore di ponti) tra la tradizione precristiana e il cattolicesimo è una domanda a cui bisogna dare una risposta.
Negli anni che vanno dal ’46 al ’52 Evola contribuisce in modo determinante a dare una “visione del mondo” d’ordine tradizionale a giovani che, spinti dall’esigenza interiore di riscattare l’onore di una patria tradita, dopo aver affrontato gli eventi tragici del ’45 si erano tuffati nella battaglia politica. La lettura di Orientamenti e Gli Uomini e le Rovine porta ad un salto di qualità nella cultura di destra e, seppur progressivamente nel tempo, segna la fine dell’egemonia gentiliana in questo mondo.
Evola costruisce infatti quel ponte che serve al “combattente politico” (per dirla col Wirsing) a passare alla metapolitica. Egli indica nella trascendenza e nell’Assoluto (che non coincide con uno Spirito indefinito o con una Storia assolutizzata) il riferimento ultimo per il militante. È questo il primo grande passo per una “cerca del Graal” interiore, che porterà poi molti militanti verso il cattolicesimo. Certo, per ognuno questa “cerca” si svolge attraverso percorsi diversi ed assolutamente inimitabili.
Così Gianfranceschi racconterà l’inizio di questa “cerca“: “Intanto era avvenuto l’incontro, intimamente chiarificatore, con i libri di Evola…Su quelle pagine trovammo le risposte ai nostri interrogativi. Capimmo che le nostre scelte e le nostre ripulse non erano condizionate soltanto dagli eventi storici, ma si inquadravano in un modo di essere a sua volta segnato da forme che trascendono i dati contingenti“.
Evola non serve tanto come elargitore di ricette politiche, quanto come “precettore” che riesce a far comprendere che la momentaneità del fattore politico, per avere una sua dignità, deve necessariamente ri-legarsi (re-ligio) ad eventi storici precedenti che, nel tempo e nello spazio, possono essere ricondotti ad una Weltanschauung fondata sulla trascendenza.
Per chi, seguendo questa indicazione, approderà alla Chiesa di Roma, Evola fornisce oggettivamente alcuni degli elementi culturali che aiutano a tale approdo.
Qualche esempio? Egli è il più grande contestatore della storiografia “ufficiale“. Rivaluta il Medioevo, che è tutto impostato sul teocentrismo cattolico e sull’universalità dell’Impero. Contesta il Rinascimento, che è la negazione del cattolicesimo medievale e il ritorno ad una falsa idea di romanità precristiana. Critica duramente il protestantesimo quale “esasperatore del soggettivismo derealizzante ed affermatore dello stesso individualismo in sede religiosa“, accomunandosi, in ciò, alla critica cattolica. Spara a zero contro la Rivoluzione Francese, avverso la quale è il cattolicesimo in armi che si muove in tutta Europa, dalla Vandea alle guerrillas carliste, alle insorgenze antigiacobine. Fa fuoco contro il Risorgimento ed, anche in questo caso, la storia ci propone la reazione antiunitaria dei cattolici italiani. Insomma, non c’è pezzo di storia in cui a sostenere la “rivolta contro il mondo moderno“, con le armi e non le esercitazioni intellettualistiche, non vi siano i cattolici. Il che non è poco.
Evola propone il corporativismo e la “compartecipazione alla proprietà” quali elementi fondamentali per uno stato organico.
Ed, anche in ciò, va a braccetto con la dottrina sociale della Chiesa. Per ultimo, si confronti quanto scrive Evola su totalitarismo e “federalismo imperiale” (la definizione è nostra) e lo si confronti con quanto scrive in merito il maggior pensatore del tradizionalismo cattolico ispanico, Elias De Tejada. Sembrano scritti usciti da una sola penna.
In quanto al razzismo, Evola, nel non facile settembre ’42 (in piena alleanza con la Germania nazista), lo definiva “una costruzione scientista e un figurino da museo antropologico” diletto di “una borghesia pseudo-intellettuale, succube degli idoli del positivismo ottocentesco“.
Per ultimo, Evola non è assolutamente ascrivibile a quella giungla di spiritualisti e pseudo-esoteristi che oggi va sotto il nome di New Age. Anzi, ne è un formidabile dissacratore. Non solo perché è un antimassone dichiarato (uno dei pochi, se non l’unico, tra i vari pensatori non-cristiani) o perché è lui che fa conoscere in Italia La Guerra Occulta di Malinnsky e De Poncins. Ma perché è autore di un volume come “Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo” in cui teosofi, antroposofi, spiritisti, satanisti e quant’altro vengono triturati senza pietà. Se si legge bene, ci si accorgerà che anche nei confronti dei Catari (oggi così ben voluti a destra) Evola non è tenero, sia perché “lo spirito del catarismo ebbe pochi punti in comune con quello del Templarismo del Graal“, sia perché “la loro corrente si presenta come un miscuglio assai sospetto di cristianesimo delle origini, di manicheismo e di buddhismo deteriore” caratterizzato da “un ascetismo di tipo tra il “lunare” e l'”esaltato“”.
Va bene, si dirà, ma ciò non annulla la critica evoliana ad un “cristianesimo delle origini” (scisso, nella sua interpretazione, dal “cattolicesimo medievale“) visto come un focolaio sovvertitore dell’Impero Romano oltre che come religione dei deboli e dei plebei. ma queste proposizioni (di radice illuministico-massonica) si scontrano con una massiccia documentazione storica circa il contributo determinante dato dal cristianesimo all’Impero proprio nella sua fase calante che, tra l’altro, si determinò per fattori storico-culturali che col cristianesimo nulla c’entravano. Tranne qualche eccezione, gli stessi Imperatori furono figure scialbe e tutt’altro che “olimpiche“, lontanissime dall’incarnare quel Deus Sol Invictus di cui parlano i testi evoliani, oltre che il De Giorgio e l’Altheim.
In quanto alla pretesa anti-eroicità del cristianesimo è, anche questa, una favola di derivazione illuministica. Lo stesso Tertulliano (il più eterodosso e “pacifista” tra i cristiani) ammette che se i cristiani avessero voluto vendicarsi sarebbe bastata una diserzione in massa dall’esercito. E Claude Lepelley, uno dei più attenti studiosi dell’Impero, ha asserito che “i soldati cristiani non si facevano certo scrupolo di portare le armi“. Del resto, una delle più famose legioni, quella di Tebea, era composta interamente da cristiani. Per non parlare dei Flavi che non erano certo gente della bassa plebe. Queste considerazioni portano l’ex evoliano Piero Vassallo a contestare la pretesa anti-romanità del cristianesimo poiché “l’ethos romano, in quanto conforme alla legge naturale, non contrasta con la legge cristiana“. Del resto, l’idea della immortalità dell’anima viene respinta in Grecia da epicurei e stoici, ma viene accolta diffusamente dai legionari di Roma.
Sta di fatto, al di là di queste polemiche, che il barone Giulio Cesare Andrea Evola ha aiutato molti di noi a scegliere la propria strada. Non lo poteva sapere, ma se c’è stato un “uomo della Provvidenza” nel nostro mondo umano, quello è stato certamente lui.