Il prode Federico
chiamato Barbarossa
si trova celato
in un monte incantato.
Egli non è mai morto,
ma vive ancora adesso
nel castello fatato,
nel sonno si è adagiato.
Lassù con sé ha portato
d’Europa lo splendore,
ma lo riportrà
nel tempo dell’onore.
Il trono del Barbarossa
tutto è d’avorio bianco,
un tavolo di marmo
accoglie il capo stanco.
La sua barba di fuoco,
figlia del firmamento,
cresce attraverso il tavolo
su cui appoggia il mento.
Il capo scuote ed apre
gli occhi color del mare
e dopo lungo tempo
un bimbo fa chiamare.
Nel sonno dice al bimbo.
“Va’ fuori dal maniero,
guarda se attorno al monte
volteggia un corvo nero.
Se il vecchio corvo nero
quì vola senza affanni,
dovrò quassù dormire
ancora per cent’anni.
Ma se il cielo d’arile
splende sul mio maniero
e se l’aquila vola,
portatemi il destriero.
E se per monti udite
i corni risuonare,
portatemi la spada:
è tempo di tornare.
[testo di Pino Tosca. Riadattamento di una poesia del Ruckert che riprendeva una antica leggenda tedesca. Musica tratta da un’aria popolare francese]
mi-si-/do/si/do/mi-/do/si/sol/re/la-/do/sol/mi-/si/mi-/si/do/si/mi-