IL POETA E IL GIULLARE DI CORTE

di Pino Tosca

Sull’ultimo numero di Sette,  supplemento del Corriere della Sera, Michele Brambilla (che nella famiglia del Corrierone rappresenta l’ala cattolica) sull’onda della “pubblicità a rischio” che ha contrassegnato l’attività di Forza Nuova, ha pubblicato un servizio sulla “musica alternativa” a destra, con citazioni dei testi di Marcello De Angelis, foto degli Aurora e, soprattutto, con una intervista a Massimo Morsello, il “De Gregori nero” nonché leader (dopo Roberto Fiore) del movimento extraparlamentare citato.

Morsello se l’è cavata benissimo, anche perché aveva di fronte un giornalista serio e non fazioso, come Brambilla. Non ha mancato, Morsello, di riaffermare la sua fede cattolica (“il cattolicesimo è lo specchio perfetto di un ordine naturale”), la sua battaglia per i popoli oppressi dal mundialismo (“accetto l’accusa di antisionismo. Ma non è un fatto razziale. Non sono antisemita”), le sue scelte esistenziali (“preferisco chi magari non crede ma rispetta nei fatti la legge di Dio piuttosto che un credente che vive in modo disordinato”).

Il servizio è corredato anche da brani tratti dalle sue canzoni. Ora non occorre essere dei musicologi per capire che i testi di Morsello sono notevoli sul piano poetico. Sarà una poesia rimata, politicizzata e di destra, ma sempre poesia è. Io Morsello l’ho conosciuto avendo, tra l’altro, vissuto quindici giorni nella sua casa londinese, nel ’97, prima che venisse costituita Forza Nuova.  e so che molte di quelle poesie musicali hanno il retroterra di esperienze personali forti. Non sono scritte a tavolino seguendo gli svolazzamenti cervellotici dell’intellettualoide di sinistra. Ma prendono le mosse dalla vita concreta di uno come lui che ha passato molti anni in esilio a Londra, per sfuggire alla repressione giudiziaria, che ha conosciuto il carcere, che ha visto spegnersi una figlia a soli 14 anni, che da anni sta affrontando una malattia seria con ammirevole stoicismo.  Gli telefonai un anno fa per fargli gli auguri, e mi disse con grande serenità “Dì una preghiera per me”.

Per il resto, cioè per ciò che concerne il suo movimento, nutro alcuni dissensi, sia sulla linea politica che sul piano metodologico. Ma ciò non significa che non bisogna battersi contro la criminalizzazione messa in atto dal regime nei confronti di questa frangia della galassia della “destra radicale”. Difendere la libertà per gli altri è difendere la libertà per tutti.

Sette, comunque, per completare l’opera ha pensato male di rivolgersi ad un’autorità indiscussa nel campo della musica a cui far vagliare i testi di Morsello. E chi è costui? Piero Buscaroli? Paolo Isotta? Roberto De Simone? Piero Vivarelli? Macché, si tratta nientepopodimeno che di… Paolo Pietrangeli. Chi è costui, direte voi. Ma come? È il famoso autore della famosissima Contessa del Sessantotto e dintorni, i cui versi hanno toccato i vertici insuperabili del lirismo artistico. Non ricordate? “Compagni dai campi e dalle officine, prendete la falce e portate il martello, scendete giù in piazza e picchiate con quello”. Altro che l’Alighieri, altro che D’Annunzio, altro che Guccini, altro che un Morsello qualunque. Questa sì che è arte.

E allora il gran maestro panciuto e barbuto ha emesso la sua infallibile sentenza sui testi morselliani. “Sono canzoni di un’infinita tristezza, di una grande malinconia… sono canzoni di sconfitta”. Che orrore…cantare per gli sconfitti! È chiaro che un rivoluzionario come il Pietrangeli le canzoni le canta solo per i vincitori. E chi più vincitore di lui che riesce contestualmente a cantare nei Centri sociali ed a fare il regista del Maurizio Costanzo Show e di Amici beccandosi i miliardi di Berlusconi?

“Trovo terribile – dice il Pietrangeli leoncavallino- la canzone di Morsello sull’8 settembre, nella quale i partigiani sono definiti briganti sporchi e colpisce quel ‘circoncisi’ riferito ai soldati israeliani”. Ahi ahi, compagno Pietrangeli, dove è finita la tua kefiah bianco-nera, anche tu dietro il carro armato israeliano. A proposito, compagno berlusconiano, non si chiama proprio Intifada il “centro sociale” romano in cui ti esibisci di sera, dopo aver salutato ossequiosamente il Cavaliere e abbracciato il massone piduista Costanzo?

Il multimiliardario Pietrangeli, che abita in una bella villa romana con dieci cani e cento pipe, continua nella sua analisi su Morsello: “Sono canzoni mortifere… tutto è rivolto all’indietro. Non si vede uno sbocco…sono canti catacombali, con un fascino per la morte che mi pare interessante dal punto di vista psichiatrico”. Ecco, ci siamo. Solo un pazzo, e per giunta fascista, può scrivere testi in cui si narrano le storie dei vinti. Lo dica, allora, il Pietrangeli che era un pazzoide (e di quelli grossi) Fabrizio De André, che ha cantato quasi esclusivamente storie di sconfitti, di emarginati, di suicidi, e che, più o meno, matto è anche Guccini con i suoi ferrovieri suicidi-omicidi, per non parlare del triste Leopardi. Tutti soggetti da studiare in psichiatria. A proposito, ma dallo psichiatra dovrebbe andarci anche lui, che ha scritto Suicidio, la “storia di un comunista che si ammazza”. Fu un errore di gioventù, poi ha capito come vanno le cose. E la rivoluzione miliardaria Pietrangeli iniziò a farla con la regia di quel meraviglioso e barricadiero film che fu Porci con le ali e con la tifoseria per la Roma. “Eravamo marxisti, ci sentiamo marziani. Ma per fortuna che c’è la Roma”: eccolo il suo credo ribelle.

Ma si può fare ‘sta vita, direbbe Franco Sorrentino? Si può, si può. Guardate la sua giornata tipo e imparate, se volete cantare per i vincitori. È un comunista e la mattina fa l’assessore rutelliano al Comune di Roma, rispettato, riverito e stipendiato. Al pomeriggio, l’assessore diventa berlusconiano, almeno sul piano economico. Va a trovare il suo compare ex-massone, Maurizio (anche lui ex consulente rutelliano) per propinare agli italiani quelle trasmissioni trash che tutti conosciamo, e per incassare i soldi di Berlusconi.  Alla sera ridiventa ultracomunista, prende la sua falce e il suo martello e picchia e canta anche con quello per i bravi ragazzi dei centri sociali.  E canta così: “oggi ai padroni gliela faremo pagare” e parla così: “siamo accerchiati da miliardi di persone che hanno fame”.

Beh, permetteteci di dubitare che il Pietrangeli sia tra quelle persone “che hanno fame”. Il suo fisico panciuto e il suo conto in banca testimoniano il contrario. Se il Berlusca si immedesimasse in Federico di Prussia, direbbe a Pietrangeli quel che il teutonico disse a Voltaire: “Mai buffone di re ebbe tale mercede!”.